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Neil Harbisson, il cyborg che ascolta i colori

Affetto fin dalla nascita da una rara forma di cecità ai colori, l’artista ha sviluppato un “senso cromatico” nuovo grazie a un’antenna che si è fatto montare direttamente sulla nuca.

Immaginatevi di avere un’antenna impiantata direttamente sul cranio. All’estremità, un sensore capta le frequenze dello spettro elettromagnetico visibile. Un chip nascosto sotto il cuoio capelluto trasforma il segnale in vibrazioni, che il portatore dell’impianto può udire come fossero suoni, attraverso la conduzione ossea. Diverse frequenze dello spettro (cioè diversi colori) generano un suono diverso. Non è il soggetto di un film di fantascienza, né l’introduzione di un nuovo romanzo di William Gibson, ma la realtà quotidiana dell’artista Neil Harbisson.

Affetto fin dalla nascita da acromatopsia, cioè la cecità ai colori, Harbisson ha trovato il modo di sviluppare una percezione cromatica alternativa, proprio grazie ad un’antenna da lui progettata che si è fatto impiantare sulla testa.

“All’inizio ho ideato diversi dispositivi, fino a quando ho capito che un’antenna era quella che avrebbe funzionato meglio, perché mi dava la possibilità di percepire i colori dietro di me, semplicemente muovendola”, spiega Harbisson. “Ho anche deciso di non usare le orecchie per percepire i colori ma le ossa. Le ossa sono come il legno, possono convogliare il suono: volendo potremmo usare il nostro scheletro non solo come elemento strutturale, ma anche per estendere la percezione del suono. La mia testa è diventata così una cassa di risonanza in cui il suono dei colori vibra intorno al cranio. In seguito ho ridotto la corona a uno stampo di metallo da applicare alla nuca”.

Il passaggio successivo è stato l’impianto permanente dell’Eyeborg, come Harbisson chiama la sua invenzione, avvenuto nel 2004. Trovare un chirurgo disposto a condurre l’operazione non fu un’impresa facile. “Il mio obiettivo era quello di farmi attaccare l’antenna al cranio in modo che l’osso e il dispositivo si fondessero. Presentai la proposta di impianto dell’antenna a un comitato bioetico, che la respinse. Ci sono voluti due anni per trovare un medico disposto ad aiutarmi”, racconta Harbisson. “Decisi dove volevo che fosse impiantata l’antenna: nell’osso occipitale superiore. Per guarire ed abituarmi al nuovo input sensoriale ci sono voluti due mesi, ma ora l’antenna e l’osso si sono fusi e la mia percezione dei colori ha raggiunto un livello qualitativo altissimo”.

L’aspetto più sorprendente dell’operazione di Harbisson è che la trasduzione delle frequenze luminose in frequenze audio non gli ha permesso banalmente di udire i colori, ma lo ha dotato di un senso completamente nuovo, di cui nessun umano è mai stato dotato. Ora l’artista è in grado di udire un quadro di Rothko, mentre un’opera sinfonica nel suo cervello diventa una tempesta di colore. “Per me una persona non ha un bell’aspetto, ma un bel suono. E non mi vesto più per apparire elegante, ma mi metto ciò che suona meglio”, racconta.
Le abilità che ha ottenuto grazie al suo impianto, hanno così esteso le capacità percettive di Neil oltre i limiti sensoriali della nostra specie.

Per questo Harbisson non usa definirsi biohacker, come potrebbe fare chi sperimenta con il limiti della biologia per migliorare le proprie capacità fisiche o mentali, o chi si fa impiantare un chip NFC sotto pelle. L’artista è invece a tutti gli effetti un cyborg, un vero e proprio organismo cibernetico che unisce la fisiologia umana alla tecnologia senza soluzione di continuità.

“Posso definirmi un cyborg in tre modi diversi”, spiega Harbisson. “Sono innanzitutto un cyborg biologico, cioè una persona il cui corpo è cambiato grazie alla cibernetica. Sono anche un cyborg neurologico, perché il mio cervello è cambiato, sviluppando un nuovo senso che non esisteva prima, grazie all’unione della tecnologia e del mio corpo. Infine sono un cyber psicologico, perché il mio senso dell’identità è mutato grazie alla cibernetica”. Nel 2010, assieme all’artista Moon Ribas, Harbisson ha creato la Cyborg Foundation, un’organizzazione che si occupa di portare avanti la causa dei cyberorganismi come lui, stabilendo e difendendo i diritti dei “transspecie”. Quella che può sembrare la provocazione di un gruppo artistico d’avanguardia è invece una questione molto seria. Harbisson è infatti riuscito a ottenere un riconoscimento ufficiale del suo status di cyborg quando ha convinto le autorità del Regno Unito ad utilizzare nel suo passaporto una foto in cui “indossa” il suo impianto. Le leggi britanniche vietano l’uso di accessori nelle foto biometriche per i documenti di identità, ma nel caso di Harbisson è stata riconosciuta la natura identitaria dello strumento tecnologico che penzola sulla sua testa. Chiedere a Neil di apparire in una foto senza antenna, in altre parole, sarebbe come chiedere a chiunque altro di farsi ritrarre senza orecchie, senza il naso, o con gli occhi chiusi.

Il percorso per diventare un vero e proprio cyborg è stato graduale e non è coinciso però con l’installazione dell’antenna, bensì con lo sviluppo del senso sinestetico aggiuntivo nel cervello dell’artista. “Credo di essere diventato davvero un cyborg quando ho iniziato a udire i colori nei miei sogni, di notte”, racconta Harbisson. “È stato quello il momento in cui ho smesso di percepire la differenza tra il mio cervello e il software”.

Per l’artista la sua scelta di fondersi con la tecnologia è una mera anticipazione dei tempi e il prodromo di un futuro che mostra alcuni dei suoi elementi distintivi già nel presente. “In un certo senso siamo tutti, consciamente o inconsciamente, in fase di transizione verso la trasformazione in cyborg biologici”, dice. “Lo si può notare nel linguaggio. Prima si diceva «al mio cellulare si sta scaricando la batteria», ora la maggior parte delle persone dice «sto finendo la batteria» o «non ho campo» invece di «il mio cellulare non ha campo». Già oggi parliamo della tecnologia come se fossimo noi stessi la tecnologia.”

A differenza di un senso umano biologico, che tende a deteriorarsi nel tempo, l’antenna di Harbisson è inoltre migliorata nel corso degli anni, con l’aggiunta di nuove funzionalità che l’artista originariamente non aveva necessariamente previsto.
Oggi Harbisson non solo può sentire i colori, ma li può anche percepire da remoto grazie a una connessione diretta dell’antenna a internet.
“L’antenna si può connettere senza fili ad altre videocamere o altre antenne sparse per il mondo”, spiega. “Se ad esempio mi trovo in un ufficio in Europa e volessi connettere la mia antenna alla vista di qualcun altro, potrei godere di un tramonto in Australia mentre fisso un muro bianco. La connessione remota dell’antenna abilita inoltre la possibilità di condividere un senso, e dunque di condividere un’esperienza vera e propria, non solo un set di informazioni che la descrivono”.

Per l’artista questo è il percorso naturale di evoluzione dell’uomo, con implicazioni importanti non solo sul modo in cui percepiamo l’ambiente circostante, ma anche sul modo in cui costruiamo la nostra conoscenza, che è di fondo un distillato delle nostre percezioni.

“L’evoluzione umana non appartiene più solo al tempo, ma anche a noi stessi. Ora possiamo evolverci durante la nostra vita; potremmo farci crescere la coda, le corna o persino le ali. Ci concentriamo troppo sull’ampliamento delle nostre conoscenze e ignoriamo che possiamo anche ampliare il nostro corpo, i nostri sensi e la nostra percezione”, afferma Harbisson. “Nuove parti del corpo potrebbero permetterci di percepire meglio la realtà e di estendere i nostri sensi al livello di altre specie animali, ampliando di conseguenza la nostra conoscenza”. L’altra implicazione fondamentale della ricerca cibernetica di Harbisson è la possibilità di disaccoppiare i nostri sensi dalla nostra presenza fisica, abilitando così nuove forme di esplorazione sia del nostro pianeta sia del cosmo. “I nostri sensi non hanno più bisogno di stare dove si trova il nostro corpo. Credo che la prossima fase dell’esplorazione umana consista nello studiare la disconnessione tra corpo e sensi e nel cominciare a viaggiare senza il corpo”, conclude Harbisson. “Invece di affrontare il fastidio del viaggio, potremmo inviare solo i nostri sensi nello spazio, stampare noi stessi in 3D su altri pianeti ed esplorarli stando in panciolle. Un domani la nave spaziale migliore sarà un comodo letto”.

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