Per ottenere una scansione del proprio DNA oggi bastano un tampone salivare e una connessione a internet. I servizi che offrono il sequenziamento personalizzato del DNA si sono moltiplicati e i costi si sono gradualmente abbassati. I kit per le analisi genetiche hanno prezzi che variano all’incirca tra i cento e i duecento euro, a seconda del tipo di test che verrà effettuato sui campioni. Nella maggior parte dei casi lo scopo del servizio è individuare la predisposizione genetica a determinate malattie, in modo da migliorare la prevenzione. Altre aziende, sulla scia del successo della statunitense 23andMe, offrono invece la possibilità di utilizzare il DNA per ricostruire la propria genealogia e magari scoprire parenti lontani che non sapevamo di avere.
Quale che sia lo scopo del servizio di sequenziamento, il trend ascendente delle aziende di “personal genomics” è inarrestabile. Secondo una ricerca di Markets and Markets, il mercato globale cresce di circa il 19% ogni anno e si prevede che possa superare i 54,4 miliardi di dollari nel 2025, più del doppio del giro d’affari di 22,7 miliardi registrato nel 2020. La diffusione dei servizi di genetica personalizzata ha permesso a tanti di ricongiungersi con un cugino perduto, di ricostruire la propria storia genealogica, o di conoscere in anticipo il proprio rischio di sviluppare una particolare forma di cancro. Non mancano però anche le conseguenze indesiderate, e “rubare” il DNA di qualcun altro è diventato facilissimo: basta un mozzicone di sigaretta, o un bicchiere usato da cui ricavare il materiale genetico da inviare a uno delle tante aziende di sequenziamento
Le conseguenze per chi “ruba” il DNA o traffica informazioni genetiche riservate ad oggi non sono particolarmente severe. Negli Stati Uniti l’Health Insurance Portability and Accountability Act (HIPAA) prevede che i risultati di un sequenziamento siano considerati alla stregua delle altre informazioni sanitarie personali, con tutto ciò che ne consegue in termini del trasferimento o della vendita illegale di questo tipo di informazioni. Tuttavia non è prevista una punibilità specifica per chi si appropria in maniera indebita del materiale genetico di qualcun altro. Per contro la Gran Bretagna nel 2006 ha criminalizzato l’acquisizione non consensuale del DNA, mentre in Australia una legge analoga è stata più volte discussa nel corso degli ultimi 15 anni, ma mai approvata.
In Italia il Codice Penale si spende estesamente sulla regolamentazione dell’acquisizione del DNA a fini probatori o d’inchiesta. Nel 2019 il Garante della Privacy ha però recepito la definizione di “dato genetico” così come prevista dalla GDPR, e cioè di informazione personale relativa alle “caratteristiche genetiche ereditarie o acquisite di una persona fisica che forniscono informazioni univoche sulla fisiologia o sulla salute di detta persona fisica, e che risultano in particolare dall’analisi di un campione biologico della persona fisica in questione”. L’acquisizione illecita del DNA altrui, nel nostro Paese, è dunque equiparata alla sottrazione dei dati sensibili. Per quanto la definizione sia esaustiva, secondo alcuni esperti di privacy la regolamentazione europea non prende adeguatamente in considerazione le conseguenze del furto di questo tipo di informazione. A differenza di altri dati sensibili, come il nostro indirizzo, il numero di telefono o della carta di credito, il “dato genetico” è una vera e propria finestra sul passato, sul presente e sul futuro della nostra storia sanitaria.