Ritratti: i grandi innovatori del passato
The | edge omaggia le storie di grandiosi personaggi storici, uomini e donne del passato, pionieri e pioniere dell’innovazione, che attraverso la diffusione del loro sapere e delle loro scoperte in ambito scientifico e tecnologico, hanno contribuito a rivoluzionare l’umanità.
Martine Bertereau, la prima donna ingegnere che scese nelle miniere
Martine Bertereau
(Turenna, 1590 – Vincennes, 1643)
Martine Bertereau è entrata nella storia della scienza per essere il primo ingegnere minerario. Caso unico per una donna, tanto più in questi secoli.
Delle sue origini sappiamo poco eccetto che nacque nella regione francese della Turenna o di Berry intorno al 1950, in una famiglia nobile. Nel 1610 andò in sposa al barone di Beausoleil e d’Offenbach, Jean du Chatelet. E fu questa unione ad aprirle la strada dell’ingegneria.
Il giovane barone, infatti, appassionato di mineralogia, era diventato uno dei maggiori esperti del settore in tutta Europa. Dopo le nozze, Martine iniziò a condividere con il marito la passione per l’estrazione mineraria trasformandosi nella sua più fidata collaboratrice.
Va ricordato che, in Francia, l’esplorazione delle miniere era stata abbandonata nel Medioevo ed era sconosciuta ai contemporanei della nobildonna. Martine studiò la meccanica, l’idraulica, la mineralogia e la chimica anche grazie a una facile padronanza delle lingue: oltre al francese, parlava italiano, tedesco, inglese, spagnolo e conosceva bene ebraico e latino (con il quale studiò il De Architectura di Vitruvio, suo modello). Ma un inventario delle ricchezze minerarie poteva essere realizzato solo con viaggi scomodi, pericoli e molta fatica.
La coppia prese a viaggiare in tutta la Francia e poi oltre confine: fra il 1610 e il 1626, la troviamo in Germania, Ungheria, Boemia, Moravia, Polonia, Slesia, Svezia, Tirolo, Spagna, Inghilterra e Scozia. Secondo alcuni cronisti, i due sarebbero salpati addirittura verso il Sud America per esplorare le miniere peruviane. La stessa nobildonna francese scrive, nel 1640, di una sua discesa nelle cave chiamate “Esperanza de la muerte”.
Durante queste trasferte, la baronessa prese a scrivere accurati resoconti, annotando ogni più minuzioso dettaglio delle esplorazioni: i suoi appunti si trasformarono in preziosi archivi di mineralogia.
Rientrati in Francia nel 1626, ottennero l’incarico di esplorare le regioni di Linguadoca e Bretagna. I coniugi partirono con un numeroso seguito: 50 minatori portati dalla Germania (quelli del Reno erano giudicati i più bravi nella tecnica delle miniere) e dieci dall’Ungheria, alcuni fonditori e una grande dotazione di macchinari. Ma anche molti strumenti astrologici, che segnarono l’inizio della loro drammatica fine per accuse di stregoneria.
Stando alle testimonianze dell’epoca, infatti, la coppia aveva finanziato le missioni di tasca propria sperando di ottenere, prima o poi, una concessione per lo sfruttamento dei giacimenti scoperti. Nel frattempo, aveva messo al mondo anche tre figli. Senza alcun compenso, tuttavia, le costose esplorazioni avevano finito per dilapidare buona parte del patrimonio di famiglia.
La nobildonna, invisa a molti per le “fortune” comunque accumulate – fra campioni di minerali, oro, argento e pietre preziose – fu dipinta come un’avida avventuriera in cerca di ricchezze. E divenne bersaglio di accuse di magia. Una prima volta, in Bretagna, ad opera del prevosto del Ducato che perquisì l’abitazione della coppia, portando via tutto.
I due furono costretti a partire alla volta dei Paesi Bassi e tornarono in Francia solo una decina di anni dopo, ricevendo da Luigi XIII il mandato di cercare nuove miniere. Ma, ben presto, le risorse scarseggiarono. Nel tentativo di far riconoscere il lavoro svolto, nel 1640 Martine scrisse due volte al cardinale de Richelieu inviandogli quella che è ritenuta la sua relazione più importante. In tutta risposta, il cardinale li fece arrestare: il barone fu rinchiuso alla Bastiglia, la nobildonna finì nel carcere di Vincennes. Qui, Martine Bertereau sarebbe morta tre anni dopo.
Le numerose memorie della nobildonna diedero vita ad almeno due pubblicazioni – un’opera in latino pubblicata a Béziers nel 1627 sulla materia prima dei minerali e una del 1632 sulla statistica mineralogica francese – oltre al già citato scritto del 1640 (La restaurazione di Plutone), nel quale Martine parla dei “plutoni” definendo così le rocce magmatiche di origine profonda.
Sappiamo, inoltre, che la nobildonna usava sedici strumenti astrologici, aste simpatiche, grandi compassi, astrolabi e quadranti minerali, ognuno dei quali facilitava la scoperta di un preciso minerale. E ancora, sette bacchette di metallo che, grazie a un metodo di cinque regole, le indicavano il sito esatto dove scavare. Nei testi, parla delle bacchette da rabdomante e offre molti consigli pratici o scientifici. La baronessa indicò anche le costellazioni per usare questi mezzi, nella convinzione che i sette pianeti conosciuti fossero correlati ad altrettanti metalli. Ma era dotata anche di grande osservazione come quando, scoprendo una fonte di acqua a Château-Thierry, fu attratta dal colore rossastro dei ciottoli intuendo la presenza di una miniera di ferro.